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Ecco perché questo 25 aprile ci ha fatto incazzare

Aggiornamento: 21 mag

C’erano una volta un palestinese, un ebreo, un partigiano, un comunista, un attivista dei centri sociali e un democratico…


Sembra l’inizio di una barzelletta dall'umorismo macabro, ma tra la satira e la realtà, il passo è breve. E, a tratti, grottesco.


Partiamo dall'inizio. Per quanto sembri ridondante doverlo ricordare, il 25 aprile è la festa che celebra la Liberazione dall'occupazione nazista e la fine del regime fascista in Italia. Sono ottant'anni, che sembrano tanti ma che, in fondo, così tanti non sono. 

Purtroppo però, come ormai da qualche edizione, la manifestazione di Milano ha sviluppato, anche quest'anno, il medesimo copione composto di faide interne al corteo e profonde divisioni tra i partecipanti.


Parliamoci chiaro: rispetto all'anno scorso è andata meglio. Nessuno si è preso a botte con le aste delle bandiere, non si sono registrate botte ai City Angels (un'associazione di volontariato molto nota e influente a Milano), non è stato necessario un intervento particolarmente energico delle forze dell'ordine. Ma, soprattutto, non ha piovuto.

Scherzi a parte, non possiamo non annotare che, purtroppo, sono stati numerosi gli insulti, le violenze verbali, qualche spintone, la presenza della celere nei punti più caldi del percorso e molte incomprensioni su chi dovesse aprire il corteo. Tante incomprensioni. 


Il sole batte forte e il caldo si fa sentire, mentre corso Venezia è ancora semivuoto. Intorno alle 11.30, con oltre due ore di anticipo sull’inizio della manifestazione, arriva lo spezzone dei pro-Palestina, deciso a rivendicare il diritto di aprire il corteo. Davanti ai sindacati, ai partiti e, soprattutto, davanti all'Anpi.


"Vi dovete spostare da qui, il corteo dev’essere aperto dalla delegazione dell’Anpi, voi dovete mettervi dietro!", gli grida un delegato dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia. Il gruppo pro-Pal, schieratosi in blocco compatto, a falange, si infoltisce dietro striscioni e bandiere tese. È un vero e proprio muro umano. Sale la tensione e serve una trattativa. "Fuori i sionisti dal corteo", gridano in riferimento alla Brigata Ebraica, che ritroveremo più avanti nel nostro racconto. Rappresentanti dell'Anpi e del gruppo pro-Pal formano un capannello e iniziano a parlarsi. "I giornalisti no, teniamoli lontani", sembra l'unico punto su cui sono tutti d'accordo (e ti pareva). Le trattative si fanno serrate mentre corso Venezia si riempie di gente. Il presidente dell’Anpi Milano, Primo Minelli, prova a guadagnare tempo davanti alla stampa: "Stiamo trovando una soluzione". 


Il clima è surreale. A pochi metri di distanza c'è chi balla con una birra in mano al suono di musiche popolari, fumogeni rossi, la banda che intona Bella Ciao. E poi, all'improvviso, tra la gioia di chi fa festa e il rumore delle contestazioni, si leva in cielo il grido "Allahu Akbar". Tranquilli, non è un attentato. Anzi è, molto più semplicemente, la preghiera del venerdì. È il "muezzin del corteo" che inizia a salmodiare assieme a un gruppo di sostenitori della causa palestinese, di fede islamica. 

La manifestazione non è ancora ufficialmente partita. Una decina di persone, in testa al corteo, sono inginocchiate e intente a pregare. Tutto molto bello ma, ci permettiamo di dire, la religione, qualsiasi religione, non dovrebbe rimanere fuori da certi cortei? Mica per fare un torto a nessuno, ma già facciamo fatica a far rispettare il principio di laicità nell'ordinamento italiano rispetto alle storiche ingerenze della Chiesa cattolica. Vogliamo pure associare il mito della Liberazione partigiana a quello di Maometto? Tutto può essere, ma mai abbiamo visto gente dell'Anpi intonare il Padre Nostro e, qualora accadesse, non faremmo fatica a immaginarne le conseguenze.


Comunque sia, avanti con le trattative. Lo scambio avviene con il servizio dell'ordine dell'Anpi che mantiene lontani occhi indiscreti. Il gonfalone dei partigiani, che solitamente apre il corteo, è posizionato immediatamente dietro il blocco pro-Pal. Alla fine si arriva a un compromesso e quest'ultimo dovrà aprirsi per far passare l'Anpi e mettersi dietro a partiti e sindacati (questo non avverrà, non nell'immediato, poiché non appena l'Anpi sfilerà, i pro-Pal rientreranno subito nel corteo). La moneta di scambio è far posizionare una decina di bandiere della Palestina all'inizio del corteo. "Solo dieci di voi, con le proprie bandiere, potranno sfilare in testa con noi. Gli altri dovranno mettersi dietro", ribadisce un delegato dell’Anpi. "Questa è una presa in giro. Avete fatto passare le bandiere sioniste, è un'indecenza!", ribatte un esponente pro-Palestina.


Mentre tra spintoni e cordoni umani si cerca di sbloccare la situazione, l’attenzione si sposta sugli schiamazzi del centro sociale Il Cantiere, rivolti contro il carro del Partito Democratico. "Assassini, siete la feccia, vergognatevi!", urlano mentre il carro dei dem cerca di posizionarsi.

"Siete come i fascisti! Sciacalli!", insistono i manifestanti.


Ad accordo raggiunto iniziano ad arrivare le autorità. Il corteo può muoversi ma la parola d'ordine resta una sola: "sobrietà".


"Mi sembra che nessuno abbia bevuto", ironizza il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, riferendosi all'uscita del ministro Nello Musumeci sulla sobrietà da tenere nelle manifestazioni pubbliche nei giorni di lutto nazionale per la morte di papa Francesco (a proposito di laicità). "Manifestare è un diritto. Non lo concede un ministro, lo abbiamo ottenuto grazie alla lotta partigiana", rincara Landini.


L'ironia e la critica alla "sobrietà" diventano il leitmotiv del corteo. “Questi inviti vanno fatti se c'è un'argomentazione - rimarca il sindaco di Milano Beppe Sala -. Avrei preferito dire 'niente musica', per esempio. Lo avrei trovato sbagliato ma sarebbe stato un messaggio chiaro”.


E se in corteo la segretaria del Pd, Elly Schlein, preferisce schivare le polemiche augurando a tutti un buon 25 aprile, il leader di Avs Fratoianni, invece, insiste: “Siamo ‘sobriamente’ in piazza per ricordare a chi ha ancora strane allergie che grazie ai partigiani e al sacrificio di tanti antifascisti anche loro possono godere della libertà”.


Ma proprio quando il corteo sembra aver assunto toni più distesi, si arriva all'ingresso della Brigata Ebraica da Corso Venezia. “Assassini, Netanyahu è un criminale di m…”, grida qualcuno mentre sfilano le bandiere di Israele e il gonfalone con la Stella di David. Un uomo che indossa un fiasco di vino alla cintura, bicchiere di rosso in mano e cartello "sobri mai", non va per il sottile: "Israele è responsabile di 20.000 bambini morti e voi parlate di antifascismo? Ma per favore". Dopo tanti metri di insulti e risposte, provocazioni e controprovocazioni, lo spezzone della Brigata Ebraica non entrerà in piazza Duomo. "Ragioni di sicurezza", ci dice uno dei responsabili. Defilati in una strada dietro la piazza, i partecipanti saranno congedati con un laconico "è ora di andare a casa". 


Il resto della giornata, infine, è stata ordinaria amministrazione. Arrivi scaglionati all'ombra della Madonnina e interventi dal palco. Ma cosa ci resta di questo 25 aprile? 

Non è stata la prima volta che i gruppi pro-Palestina hanno tentato di assumere un ruolo centrale nel corteo, né, tantomeno, che siano emersi contestazioni alla Brigata Ebraica. La "novità" di una preghiera islamica, ignorata dai più, è qualcosa che invece dovrebbe farci riflettere su significati, simboli e confini di una giornata così carica di storia e memoria collettiva. Ma, forse, eravamo tutti troppo concentrati sulla sobrietà del governo, o sull'ebrezza di un insulto a questo o a quello spezzone di corteo, per accorgercene.  di Edoardo Bianchi e Andrea Lattanzi

 
 
 

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