Vogliamo votare con lo smartphone perché così possiamo andare anche al mare.
- The Journalai
- 9 giu
- Tempo di lettura: 3 min

Dopo il fallimento del quorum e la ressa politica è scattata la corsa alle proposte di riforma costituzionale. Ma nel frattempo ci fate votare tra un meme e l’altro? Grazie.
Non è necessario essere costituzionalisti o politologi dell’ultim’ora per capire che il referendum abrogativo, così come descritto all’articolo 75 della nostra Costituzione, è uno strumento che deve necessariamente fare i conti con gli anni che passano.
L’età dell’oro dei referendum, con la grande stagione radicale e poi con quella delle consultazioni sulle leggi elettorali, è ormai materia che appartiene più agli storici che ai politici o alle organizzazioni sindacali.
Il calo drammatico della partecipazione politica, sia elettorale che partitica, è sicuramente il più grande fardello che l’istituto referendario italiano deve scontare. Il quorum del 50%+1 degli aventi diritto, a oggi, è qualcosa di oggettivamente inarrivabile per un qualsiasi comitato promotore. A meno che non si vada a referendare un argomento etico o civile, che solletichi nel profondo le anime, o gli interessi, degli elettori.
Pensate se istituissimo un quorum per le elezioni comunali. Visti i dati impietosi delle ultime tornate, né a Roma né a Milano avremmo potuto eleggere consiglio comunale e sindaco nel 2021. È una provocazione, e non sarebbe neanche tanto male ogni tanto far saltare un turno a qualcheduno, ma è una cosa su cui riflettere.
Il referendum abrogativo in quanto tale, a meno di qualche eccezione, non è uno strumento che la politica di palazzo, o di partito, ha sempre particolarmente amato. Senza andare a ripescare la storica timidezza del Partito Comunista Italiano sull’aborto, è più semplice ricordare quello che è stato combinato all’ultimo referendum che in Italia ha raggiunto il quorum. Parliamo della tornata 2011 e i cosiddetti “referendum sull’acqua pubblica” (tra i quesiti proposti c’era anche nucleare e legittimo impedimento). A fronte di un chiaro segnale d’indirizzo dato dalle urne all’epoca (affluenza 54%, vittoria del sì attorno al 95) la politica non ha mai tradotto la volontà popolare in leggi e oggi ci ritroviamo pieni di società idriche pubblico-private, postifici e con delle bollette dell’acqua che insomma, non fanno piacere laddove l’acqua dovrebbe essere un bene comune.
Questo per dire che non solo non si va a votare per disinteresse o perché di domenica ci piace andare al mare. Ma, forse, anche perché la politica a sua volta ci ha messo del suo e qualcuno ha deciso di non recarsi ai seggi seguendo la massima “tanto non cambia niente”.
E dire che non sono mancate iniziative meritorie. A seguito della raccolta digitale di firme per il referendum sulla cannabis del 2021 (che in un mese, proprio perché era possibile sottoscrivere la proposta anche tramite smartphone, raccolse oltre 600mila firme) oggi l’Italia dispone di una bella piattaforma sul ministero della Giustizia che consente di proporre o firmare digitalmente proposte di iniziativa referendaria. Tutto molto bello, il problema però è proprio qui. Se diventa tanto facile riuscire a portare un quesito almeno di fronte alla Corte Costituzionale per la valutazione di ammissibilità – che massacrò, per la cronaca, il quesito del 2021 – com’è che è diventato così difficile portare la gente alle urne? E perché una firma di sottoscrizione dovrebbe valere diversamente da un voto? In altre parole, sarebbe così brutale e sporco per le nostre istituzioni dotarsi di un sistema di votazione elettronica almeno per i referendum?
Già da qualche ora girano proposte di legge per abolire il quorum (laddove sarebbe più giusto, visti i dati, abbassarlo e introdurre una qualche sorta di meccanismo premiale per chi raggiunge il 50%+1) o disegni di legge costituzionale per riformare l’articolo 75 della Costituzione (nessuno in questo Paese parla mai di referendum propositivo, con potere di legislazione affidato cioè direttamente al risultato delle urne). Ma siccome le grandi riforme non si fanno in un’ora, non sarebbe più semplice cominciare da quelle cose che si possono fare senza giganteschi dibattiti fra costituzionalisti, analisti ed editorialisti come, per esempio, consentire ai cittadini italiani di poter votare anche per via elettronica?
Pensateci, salveremo capre e cavoli. Potrete stare seduti comodamente sul lettino da mare e, fra uno scroll e l’altro, se vi ricordate, dire sì o no a un referendum che comunque è costato soldi sia allo Stato sia a chi ha dovuto organizzarlo con impegno e serietà.
Con lo smartphone ormai ci facciamo di tutto. Paghiamo alla cassa del supermercato, paghiamo le multe, paghiamo le bollette, paghiamo tante cose. Se lo rendessimo uno strumento anche in grado di semplificare la vita politica, probabilmente, non faremo un torto a nessuno.
di Andrea Lattanzi




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